Interaction design — intervista con Leandro Agrò (2003)
Leandro, benvenuto. Tra le tante cose, Lei si occupa di interaction design. Mi scusi se rido. mi viene in mente mio nonno che direbbe: «una parolaccia! a che mi serve?». Gli diamo una risposta? |
A mio nonno io avrei detto più o meno queste cose: Caro nonno, il mio mondo è cresciuto sviluppando una incredibile dipendenza dalla tecnologia. Una tecnologia che non è più la Tv o il frigorifero. E’ una cosa più ampia. Legata a tutti gli strumenti di lavoro. Ecco nonno, immagina un mondo dove tutti gli strumenti di lavoro sono fatti a forma di computer, come quello che noi abbiamo in salotto. Ha la forma di una TV ma, se ci fai caso, non si vedono i programmi ed è legata allo scatolotto beige che sta sotto al tavolo. Ora, il problema che tutti gli strumenti di lavoro siano stati soppiantati dal computer, ha creato una grande confusione. Non è più così facile distinguere un martello da carpentiere con uno da restauratore. E -a volte- non si distingue bene neanche un martello da una tenaglia. …molta gente non sa bene neanche che lavoro fa. O quantomeno non lo sa raccontare. Insomma, la tecnologia ci ha preso la mano. Non solo al lavoro, ma anche in casa, nel tempo libero, etc. Tutta questa tecnologia indifferenziata non è un bene, e c’è chi sente il bisogno di progettare una nuova generazione di attrezzi, di lavatrici, di telefoni e di tante altre cose che avranno un nome nuovo. Strumenti diversi da quelli che possiamo immaginare per semplice somiglianza con le cose che conosciamo già. Ebbene, quello che faccio io -l’interaction designer- è il mestiere di colui che deve contribuire a progettare questa nuova generazione di attrezzi. E, se possibile, restituire un po’ di umanità e relazione alle tante situazioni governate dalla tecnologia a forma di scatolotto beige. …e sai nonno, questo è un lavoro che mi piace molto. |
La cito testualmente 'La migliore interfaccia è quella a cui l'utente non farà mai caso'. vuol dire che un'interfaccia è ben fatta quando lo strumento diventa un prolungamento sensoriale? |
Quando ho detto quella frase (che tra l’altro non è neanche mia) intendevo dire che: un utente che si concentra sui contenuti e sui suoi obiettivi senza badare (e confrontarsi) all’interfaccia, probabilmente è un utente soddisfatto. Di conseguenza l’interfaccia è –probabilmente- ben disegnata. Certo la sua domanda apre anche altre interessanti argomentazioni, ma io non le avevo messe dentro a quella asserzione. |
Molta gente dice, ancora oggi: «il computer? lui da una parte, io dall'altra» e tanti altri luoghi comuni su questo strumento. Oggi li realizzano simpatici, colorati, con effetti stucchevoli e gli utenti li acquistano e si sforzano ad usarli. Rendere più simpatico un prodotto è un modo possibile per migliorarne anche la facilità d'uso? |
Esiste ed è diffusissima la sensazione di disagio tecnologico e –per tentare di sfuggirvi- il marketing tenta di rendere più amichevole l’aspetto delle macchine, o di suggestionare i possibili acquirenti con armi più sottili... Quando una persona si cala in un universo di aspettative, di affiliazione ad una marca, di sue necessità personali e professionali, -il cimentarsi con un computer che gli piace- gli comunica quella affiliazione (vedi i patiti di Apple), li fa sentire partecipi e –in qualche modo- più ben disposti, più pazienti. Forse quel computer non sarà più facile da usare, ma li ha ugualmente predisposti meglio. E questo senza contare che –a volte- ad una maggiore cura esteriore corrisponde davvero una maggiore cura del software di gestione e/o di dotazione di programmi utili a chi acquista quel computer… Ma sul disagio verso la tecnologia ci sarebbero tante altre cose da dire. Facciamo così, le indico due titoli: Disagio Tecnologico (alan cooper/APOGEO) e Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta (robert pirsig/Adelphi). |
Spesso ci troviamo proiettati con nuove tecnologie da apprendere nel più breve tempo possibile. per facilitarci la vita, il ruolo principale lo gioca il design? |
Non sono d’accordo sul fatto che le tecnologie vadano imparate in fretta. Comunque -il ruolo del design- è quello di portare un’idea a far parte del nostro mondo e –a volte- della nostra quotidianità. In tal senso, la fretta è relativa. Il ruolo del design resta. |
Per realizzare un prodotto cosa dobbiamo conoscere dell'utente? |
Cosa si deve conoscere... Altra domanda insidiosa. Mettiamola così: se il mondo potesse essere suddiviso con un unico taglio netto -conoscere tutto dell’utente- serve a tutte quelle situazioni in cui l’uomo fa qualcosa principalmente attraverso un’interfaccia (in modo mediato). Questo approccio risponde alla dottrina dell’User Centered Design… A volte però, soprattutto per quegli artefatti/oggetti che prevedono di essere toccati e manipolati direttamente, il designer può fare anche molto di più che assecondare le aspettative dell’utente. Può indurre un bisogno, definire un nuovo modo di interagire con le cose, etc. …E’ chiaro che questo si può fare anche con le interfacce, solo è meno efficace, perché l’utente che si esprime in modo mediato ha molto meno libertà di azione/interpretazione. … Ma il mondo non si può dividere con un unico taglio netto, così come l’utente non vive isolato difronte l’interfaccia. Utente e interfaccia sono essi stessi parte di un sistema molto ampio. Un sistema fatto di persone, relazioni tra persone, processi, interazioni tra processi, contesti, computer, interfacce, etc etc. Senza l’utente questo sistema è privo di senso (morto o –al massimo- inutilizzabile) ma, non si può progettare una tecnologia che soddisfi l’utente senza guardare a tutto il sistema. Insomma, questo è un discorso che può anche partire dalle euristiche della web usability (jakob nielsen/APOGEO) ma che finisce molto distante. E lungo il nostro percorso potremmo incontrare un compianto scienziato del MIT come Michael Dertouzos (La rivoluzione Incompiuta/APOGEO), il poliedrico Malcolm Gladwell (il Punto Critico/rizzoli) e persino personaggi di prima grandezza come: l’ingessatissimo Philips Kotler (Il marketing secondo Kothler/IlSole24Ore), il geniale Edward T. Hall (La dimensione nascosta/Bompiani), il visionario Kevin Kelly (Regole per il nuovo mondo/Ponte delle Grazie) e lo stempiatissimo outsider Seth Godin (Permission Marketing/Parole di Cotone). …ah, quasi dimenticavo: Se volete sapere tutto sui vostri utenti è obbligatorio leggersi il ClueTrain Manifesto. |
Le tecnologie modificano, come sostiene De Kerckove, il nostro 'Brainframe'. Che modifiche porterà internet nel modo di comunicare, di vivere e di condividere? |
Il nostro modo di concepire il mondo è già cambiato. Noi oramai siamo proiettati in un sistema in Rete. In qualche modo, il confine del nostro mondo è dove finisce la Rete. Le faccio un esempio, pensiamo a come è mutato il principio di sicurezza del singolo e della comunità rispetto all’idea di apertura/isolamento. In passato l’isolamento era sinonimo di autodeterminazione, di protezione, di proprietà privata. Oggi, l’isolamento fa molta paura. L’autodeterminazione è –di fatto- inutile, se non si ha accesso agli altri. La proprietà privata vacilla su fronti fondamentali come il diritto d’autore, l’open source, gli MP3, etc. Questa –vista da oggi- sembra un’era da iscrivere al P2P ed ai weblog. Probabilmente –con il senno di poi- la iscriveremo alla grande ragnatela energetica dell’idrogeno. Comunque sia, il modello del nostro futuro non è più condizionato dalle auto volanti, ma dall’idea che il mondo è collegato in rete. Chiedete a Jeremy Rifkin, lui la sa molto lunga. |
Mi scusi... vorrei che lei mi spiegasse un'altro parolone... che cosa vuol dire 'ergonomia cognitiva'? |
Senza dizionario in mano. L’ergonomia è la scienza che si occupa di mettere insieme quanta più conoscenza possibile per rendere il nostro ambiente adatto all’uomo. Ci aiuta a stare seduti comodi, ad avere sempre a portata di mano i comandi utili a svolgere il nostro lavoro, a determinare -negli oggetti e nel contesto che ci circonda- quelle caratteristiche perché noi ci si possa rapportare ad essi con successo (piacevolezza, efficacia, rapidità). Il fatto è che: quando un attrezzo o un oggetto perde la sua dimensione per cui un uomo può usarlo per manipolazione diretta e si dota di interfacce che mediano la relazione, dobbiamo preoccuparci di due dimensioni. Quella fisica dell’ergonomia -come sopra spiegata- e quella cognitiva, ovvero: quella parte legata soprattutto alla comprensione delle dinamiche che avvengono nella zona di mediazione della relazione uomo-artefatto. Questo è un campo dove le cose che sappiamo sugli oggetti/interfacce sono tante e dichiarate, mentre le cose che sappiamo sull’uomo e sulla sua psicologia sono in continua espansione e mutamento. Insomma, non soltanto c’è il problema di capire “da dove si accende”, ma anche “come si usa”. Ed il percorso delle cose che dovremmo poter essere chiamati a fare con una interfaccia (ad esempio –da dipendenti- in una intranet aziendale) può essere molto lungo e macchinoso. Per chi è curioso direi che può riferirsi a Donald Norman ed alla sua meravigliosa Caffettiera del Masochista. Per tutti, comunque, è bene ricordare che nel sistema uomo-macchina la componente più complessa è l’uomo (e non certo la macchina). |
L'uomo è l'elemento più complesso. Aggiungerei anche insostituibile,al contrario della tecnologia. Ed è a questo proposito che nasce un'altra domanda... 'spontanea'. Perchè troppo spesso usiamo tecnologia che distrugge il nostro ambiente? Perchè non pieghiamo la tecnologia non solo al nostro volere ma anche a quello di 'madre natura'? |
Sui massimi sistemi posso soltanto darle una interpretazione personale e –certamente- limitata… Il mio parere è che, noi non rispettiamo la natura per ragioni storiche. Perché –da troppo tempo- vogliamo dominarla e sottometterla a noi. Ma oltre alle ragioni storiche ve ne sono altre, di ordine più pratico. Ad esempio, il modo in cui abbiamo dovuto suddividere e specializzare sempre più, le diverse professionalità umane. Questa frammentazione del sapere ci ha permesso di reggere l’accelerazione subita dalle nostre società, ed ha moltiplicato il nostro accesso alla ricchezza ed alla tecnologia. Purtroppo, la rapidità e la specilizzazione hanno tolto campo alla visione della big-picture, al contributo delle filosofie, a quel mondo di saggezza che aveva nella lentezza, nell’equilibrio e nella pazienza le sue armi migliori. Devo però dire che –da alcuni anni- la tendenza comincia a cambiare. Ci sono sempre più persone che acquisiscono la consapevolezza della loro simbiosi con l’ambiente. O –più semplicemente- divengono consapevoli della loro responsabilità diretta verso le sorti del Pianeta. Allo stesso modo, soprattutto con l’avvento di Internet, culture e professionalità diverse hanno cominciato a reincontrarsi. Condividendo obiettivi progettuali e responsabilità di produzione. Ecco, credo che ci vorrà tempo… Ma credo anche, che stiamo lentamente riacquistando coscienza di molti pezzi di quel puzzle naturale che è stato posto davanti ai nostri occhi. Oggi progettiamo interfacce ed artefatti più adatti all’uomo. Presto potremo cimentarci nel World Energy Web e ridistribuire l’accesso all’energia sul pianeta. Da lì, e dalla ricerca delle fonti di energia rinnovabili, giungerà quel cambiamento radicale di mentalità che potrebbe restituirci quella dimensione simbiotica con la terra che è stata imprescindibile per i nostri antenati. |
Dott. Agrò, Lei è anche il promotore di 'idearium.org'. Direi di parlarne al prossimo incontro, ma qui potrebbe accennarci alle finalità del sito? |
Idearium è un magazine centrato sulla idea della umanizzazione della tecnologia. Come magazine ha la caratteristica di essere scritto da una redazione molto ampia. Una redazione che guarda a se stessa come alla prima comunità dove le molteplici interpretazioni delle conoscenze riguardanti la Human Computer Interaction si incontrano e –attraverso le pagine del magazine- si esprimono. Attraverso gli articoli di Idearium.org lei potrà ritrovarsi a riflettere sulla bontà di una certa interfaccia, su tecnologie innovative, sull’usabilità di certi oggetti quotidiani. Così come potrà dire la sua su quanto espresso dagli autori o discutere di design. Come molte cose belle -Idearium- non ha budget. Questo gli dona quell’aura bella del volontariato ma lo lega -talvolta rocambolescamente- all’andamento della disponibilità economica dei singoli. Però resiste e –con l’andare del tempo- sono certo che diventerà un’esperienza sempre più bella da vivere e da raccontare. …Speriamo di continuare ad avere pazienza ed equilibrio. |